Damiana Patrimia 18/04/2019

Anche se controversa, la data di fondazione della chiesetta di
S. Giovanni Battista è ragionevolmente accettabile che risalga
alla metà del XIII secolo. Nonostante tanti guasti e interventi
effettuati col passare dei secoli, la chiesetta ben conserva
ancora la sua tipica impronta architettonica dell’arte romanica,
soprattutto nel semplice prospetto monocuspidale, quindi a
capanna, nonostante evidenti rimaneggiamenti.
L’originario portale, che sicuramente possedeva il protiro, al
posto dei consueti leoni stilofori aveva quattro grifi che poi
vennero spostati sulla sommità della chiesa. Due di queste
figure zoomorfe, però acefale, sono state collocate all’interno,
delle restanti due non si conosce la sorte. Il protiro, ormai in
pessimo stato fu tolto nel XVII secolo, epoca in cui fu realizzata
una finestra quadrangolare che sostituì l’oculo originario. È
restata inalterata però la sequenza degli archetti pensili che
corrono lungo il coronamento della facciata e dei muri laterali
del sacro edificio, ove un tempo si entrava anche da un ingresso
ora murato sulla fiancata sinistra, di cui si scorgono le tracce.
La chiesa, poi, possedeva un campanile a vela, testimoniato
da una foto della prima metà del secolo scorso, epoca in cui fu
abbattuto da un fulmine.
La chiesetta, ad unica navata e con un solo altare, era negletta degli abitanti
del luogo e mostrava seri danni al tetto a capriate lignee,
al pavimento alquanto dissestato. E tale negligenza si è
protratta nel tempo tant’è che nel 1950 la struttura corse il
pericolo di essere abbattuta, ma per fortuna quattro anni
dopo si effettuarono alcuni lavori di restauro che, almeno,
riuscirono a preservare il sacro edificio il quale, come si è
notato, palesa sia pure in tono minore alcune analogie con le
altre costruzioni romaniche del Salento, come la chiesa di SS.
Niccolò e Cataldo di Lecce e la chiesa di S. Stefano a Soleto.
Saliti tre gradini, si accede nella chiesetta ad unica aula, un
tempo luogo di sepoltura tant’è che ivi sono stati trovati due
sarcofagi, già violati e in pessimo stato. Il tempio, con un
unico altare barocco, non possiede l’abside che forse aveva in
origine, ma ciò che rende importante il luogo è la serie degli
affreschi murali in più strati, ultimi quelli del XVII secolo
che per la più parte coprirono le raffigurazioni medioevali,
le più danneggiate per l’umidità e per il salnitro. Le pitture
più antiche, quelle dell’età di mezzo, appartengono al tardo
stile bizantino e pertanto, più vicino al gusto occidentale. Nel
livello superiore delle pareti laterali appaiono scene della vita
di Cristo. Sulla controfacciata appare raffigurato il Giudizio
Universale che in tono minore, richiama l’analogo tema
rappresentato nella chiesa di S. Maria del Casale, a Brindisi,
e nella chiesa di S. Stefano a Soleto. Nell’ordine inferiore

appaiono, a grandezza naturale, santi e sante con iscrizioni
greche. Sulla porticina del lato sinistro si trova ancora
un’iscrizione greca che riporta la data del 1330, epoca in cui,
si legge: “il sacerdote Nicola Stenaiti volle la costruzione e la
decorazione del tempio”. Ciò, ed è appena il caso di notarlo, ha
indotto alcuni studiosi a far risalire la data di costruzione del
tempio al XIV secolo, ma probabilmente possiamo supporre
che il prelato abbia fatto restaurare la chiesetta di S. Giovanni
Evangelista. Con il restauro degli affreschi, avvenuto nel
1980, sono riapparse alcune iscrizioni greche magistralmente
ricostruite e tradotte alcuni anni fa dallo studioso belga Andrè
Jacob, ma di tali iscrizioni già tempo prima se ne era occupato
Gaetano Passarelli. Ciò ragionevolmente ci induce a pensare
che nel casale di San Cesario doveva risiedere una consistente
popolazione che praticò il rito greco, che parlava griko, e tanto
presumibilmente fino al tardo XV secolo13. Ora la chiesa è di
proprietà comunale ed è considerata un’estensione esterna del
Museo Civico.