Damiana Patrimia 30/04/2019

Nel cuore della Grecìa salentina sorge Soleto, dapprima
cittadina romana ma poi nel basso medioevo e sino la fine del
Cinquecento fu centro culturale e religioso griko, ossia italo-
greco, dove venivano trascritti testi greci e latini, al pari di
quanto avveniva nell’abbazia di S. Nicola di Càsole, presso
Otranto, codici che oggi si ritrovano nelle più importanti
biblioteche d’Europa. Qui verso il XIII secolo sorse la chiesetta
di S. Sofia, in seguito detta di S. Stefano ma, ancora una volta
gli studiosi discordano in merito alla data di fondazione della
chiesetta, e ciò perché l’originaria denominazione di S. Sofia
è attestata da un’iscrizione che si legge sul più antico strato di
affresco dell’abside ove è annotata la data 1357, a sinistra del
Cristo sacrificante, iscrizione e data si ripetono sulla parete
destra.
Supponendo che la chiesa sia stata rifatta nel XIV secolo si
spiega allora la data del 1357, oppure se veramente essa fu
costruita in quell’anno ciò vuol dire che a Soleto, ma come
altrove, l’arte romanica si era attardata. Tuttavia siamo del
parere che il tempio di S. Stefano possa risalire al XIII secolo,
ma è solo un’ipotesi.
Sita nel centro storico del paese, dove ora solo qualche vecchio
si esprime poco e male in griko, la chiesetta di S. Stefano è
una tipica espressione del romanico salentino realizzato con
la pietra leccese, con i comuni denominatori di quest’arte,
distinguendosi per la salienza della sua struttura che sembra
alludere al gotico, e tanto si riscontra nel prospetto che si dota di
un portale a cui ora manca il protiro del quale si intravede solo
qualche residuo, ossia i leoni stilofori mutili che attualmente
poggiano su mensole incastrate da una parte e dall’altra
dall’architrave dell’ingresso. In origine esse possedevano per
base due colonnette fiancheggianti il portale sostenendo delle
figure mostruose.
L’architrave, decorata da rosette e da una sottile fascia di
fogliame, ma il tutto per molti tratti illeggibile, si deve al
naturale deterioramento della morbida e fragile pietra leccese,
una pietra a vita breve, che qui come per altri sacri e profani
edifici col tempo non lascia granché, a volte nulla, delle
decorazioni originarie.
Per quanto attiene il cornicione si ipotizza che abbia avuto
una decorazione fitomorfa al pari delle altre chiese romaniche
pugliesi. Guardando più in alto troviamo la lunetta che
sicuramente nel passato conteneva un affresco, di cui nulla
resta. Per ciò che attiene l’archivolto esso è costituito da
due curvature, una interna ormai sparita e l’altra esterna
lievemente agettante, decorata a fogliame. Insignificanti

frammenti pittorici sulla facciata ci inducono ad affermare
che in un tempo assai lontano il prospetto di questa chiesa
fu decorato. Più in alto in asse col portale, si apre un oculo
raggiato e, infine, la serie delle arcatelle, quindi il cornicione
di questa chiesetta monocuspidale, coperta da capriate lignee
ed embrici. Sul cornicione si alza il campanile a vela, biforo,
da tempo immemorabile privo delle campane.
Il tempietto, a croce latina, fu ricostruito nel 1347 conservando
una parte dei muri primitivi con un affresco del XIII secolo,
sul quale via via si sovrapposero altre decorazioni. La
stratificazione delle pitture a fresco, qui come altrove, si spiega
col fatto che mediamente ogni venti anni per ragioni devozionali
venissero realizzate nuove icone, ma anche perché l’umidità
e il salnistro rendevano precarie le pitture. Nell’interno di S.
Stefano, attualmente in discreto stato di conservazione, si nota
l’impronta inconfondibile dell’iconografia bizantina che mano
a mano, però , nelle raffigurazioni più recenti cede chiaramente
il posto ai moduli espressivi della scuola pittorica locale
fiorita presso l’abazia di S. Nicola di Càsole, che palesa con
prepotenza una sensibilità tutta “latina” per l’impaginazione
scenica, per la vicità e corporeità delle figure caratterizzate da
un evidente realismo , quale quello che si riscontra nell’arte
di Giotto.
I restauri malamente eseguiti nel corso degli ultimi secoli
hanno compromesso irreparabilmente le pitture del tempietto,
che continua ad essere insidiato dall’umidità che ormai ha
reso appena leggibile la più parte degli affreschi.

Le pitture e le iscrizioni greche (sec. XIII) racchiuse nello
spazio angusto dell’abside, incavata di 80 cm., si realizzano in
due piani distinti. Al centro appare il Cristo sacrificante con ai
lati quattro grandi dottori della chiesa orientale. Nelle pitture
del piano superiore la Vergine è posta al centro tra i dodici
apostoli, dalle cui mani pendono papiri sui quali è scritto tutto
il Credo in greco. Nella scodella dell’abside è rappresentata
la SS. Trinità con ai due lati un angelo che agita l’incensiere.
Sulla parete sovrastante l’abside è affrescata la Gloria del
Paradiso (sec. XIV). Il Creatore è posto al centro, assiso su
di un trono e circondato dai quattro evangelisti, su di uno
scenario stellato, in atto di benedire. Sotto questa immagine
è rappresentata quella del Cristo sorretto da quattro angeli e
sotto, ancora, si scorge l’immagine della Vergine inginocchiata
su di un tappeto sorretto da due angeli e circondata da uno
stuolo di sante. Ai due estremi laterali della parete sono
collocati, uno per parte, i profeti Daniele ed Ezechiele.
Frammenti di affresco, scarsamente decifrabili, sono posti in
basso, ai due lati esterni dell’abside.

La parete che forma il retrospetto